In questi giorni grazie a Pio e Amedeo possiamo parlare di politically correct. Accade puntualmente, soprattutto sui social, che venga portata all’attenzione una frase o una battuta capace di sollevare una questione e a quel punto ci poniamo la domanda, “ci sono argomenti tabù per l’umorismo o la satira?“, oppure la libertà d’espressione deve essere rispettata a ogni costo e contro ogni censura?
Pio e Amedeo facciamo chiarezza
Innanzitutto va chiarito che la frase o la battuta espressa in un contesto privato, a casa con qualche ospite o al bar con amici, per quanto grande, non può avere lo stesso valore di una comunicazione pubblica.
Nel contesto privato può infatti valere, se condivisa, una modalità di comunicazione che dà per scontate alcune premesse che rendono lecito il servirsi di allusioni pesanti, scurrilità e volgarità, stereotipi razzisti o sessisti, perché è proprio il contesto “sicuro” a renderle espressioni innocue e accettate.
Il classico esempio è un gruppo di amici dove ci sono anche omosessuali dichiarati e fioccano doppi sensi e giochi di parole triviali, che fuori dal contesto amichevole, sarebbero senz’altro gravi offese e volgari discriminazioni.
Nel caso della dichiarazione pubblica, (come quella di Pio e Amedeo), la frase di un politico, un intervista per la televisione, uno spot, quel contesto “sicuro” non c’è più. Non si può pretendere che lo stesso codice linguistico che usiamo con amici di vecchia data sia valido anche in un contesto pubblico.
Il politically correct
Per questo motivo si è pensato a quel codice di comunicazione chiamato politically correct per avere la sicurezza di non colpire la sensibilità di alcuno, anche se Pio e Amedeo la pensano diversamente.
“Non dobbiamo vergognarci di dire la parola ‘neg*o’ perché conta la cattiveria nella parola, conta l’intenzione. Se l’intenzione è cattiva, allora è da condannare. Il politically correct ha rutt’o cazz”
Ci sono poi eventi e situazioni delle quali è molto difficile e complicato parlare. Un classico tabù è quello dell’antisemitismo, basta una frase stereotipata sul carattere degli ebrei, o su alcuni loro difetti tipici, ed ecco affiorare un tipico razzismo.
Eppure gli ebrei si prendono molto in giro, ci sono comici ebrei che fanno spettacoli proprio sulla loro tradizione. Come ci sono anche cabarettisti, soprattutto donne, che fanno spettacoli sullo stupro.
In un certo senso, questi due casi riproducono quel contesto sicuro di cui parlavamo prima, Nasce una sorta di tacito accordo per cui un ebreo può fare battute e umorismo sugli stereotipi del carattere ebreo e una donna può fare battute sullo stupro.
In virtù di questo tacito consenso, un uomo non ebreo dovrebbe, in entrambi i casi, essere così bravo da non far pensare, tramite le sue parole, che quello che dice facendo ironia possano essere realmente parole antisemite o sessiste e non battute.
Non stiamo sostenendo che una persona comune non può fare umorismo su alcune categorie di persone o su alcuni eventi perché non appartiene a quelle categorie o non può subire quegli eventi.
Stiamo cercando di mostrare che proprio aver fatto certe esperienze ha insegnato ad alcuni come fare umorismo sugli argomenti più complessi, imbarazzanti. Senza quelle esperienze, essere donna, ebreo o omosessuale, non ne sarebbero capaci.
Nel corso del discusso monologo, Pio e Amedeo hanno tirato fuori alcuni consunti stereotipi sugli ebrei o sulle persone di colore, passando per gli omosessuali.
“Mi avete mai visto a me con il cartello per strada a gridare ‘evviva la fi*a’? Il Gay Pride non serve più. La cosa che i gay so’ sensibili non la sopporto. Ma perché noi etero facciamo schifo?. Nemmeno ric**ione si può dire più, ma è sempre l’intenzione il problema. Così noi dobbiamo combattere l’ignorante e lo stolto. Se vi chiamano ric**ioni, voi ridetegli in faccia perché la cattiveria non risiede nella lingua e nel mondo ma nel cervello: è l’intenzione. L’ignorante si ciba del vostro risentimento… Vi chiamano neg*i? Voi ridetegli in faccia e disarmateli”.
Caro Pio e Amedeo, non si può mai prescindere del tutto dalla cultura nella quale siamo immersi, quella cultura che genera aspettative sulla posizione di chi parla, e su ciò che dice e che l’umorismo e la satira hanno delle qualità che si può essere più o meno bravi a usare.
Applicare l’umorismo e le battute delle “barzellette sui Carabinieri” al tema omosessualità o dei profughi produce quasi sempre imbarazzo, quando non disgusto.
Quindi, certo che si può fare umorismo su tutto: bisogna però esserne capaci. E questo è privilegio di pochi, perché far ridere è un lavoro difficile, delicato e complesso.
Ecco che allora lo sfogo di Pio e Amedeo che vengono contestati parlando di “censura” nei loro confronti o di impedimento della “libertà d’espressione” non ha senso. Chi fa una brutta battuta che non fa ridere, prima di tutto ha fatto un pessimo umorismo, ha dimostrato scarsa ironia.
L’ironia è leggerezza, se diventa in qualche modo “pesante”, allora forse è discriminazione. Il confine è labile, impercettibile. Diamo un peso alle parole. Carlo Mazzacurati, attore, regista e sceneggiatore, diceva: “Ogni persona che incontri sta combattendo una battaglia di cui non sai niente. Sii gentile. Sempre”.
La censura la applica il potere costituito e non i singoli, allo stesso modo, il diritto di esprimersi lo ha anche chi contesta una battuta o un monologo, non lo si può togliere arbitrariamente.
Questo articolo fa parte della collana Parliamone di Google News.
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Perché Semplicemente io? Non ho la presunzione di insegnare nulla ma semplicemente di condividere quello che ho imparato lungo la strada.. perché spesso ha aiutato me e penso che possa aiutare anche agli altri.
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